giovedì 13 dicembre 2018

RENZI E PADRE, COME DUE MAFIOSI: COSI’ NEGANO E MINACCIANO QUANDO LE ‘IENE’ GLI SBATTONO IN FACCIA BEN 2 CONDANNE PER LAVORO IN NERO


Se Jonathan Swift fosse riuscito a dare un’ occhiata alla puntata di ieri sera delle Iene, dedicata ai guai societari di Tiziano Renzi, avrebbe probabilmente avuto modo di aggiungere un capitoletto al suo capolavoro

L’ arte della menzogna politica che delinea il profilo del «bugiardo politico», al quale basta essere creduto anche solo per pochi minuti: finita la beffa e ottenuto l’ effetto, quando gli altri arrivano a ricredersi, è ormai troppo tardi.

Due Condanne Con l’ inviato Filippo Roma, lo stesso che ha scoperto i lavoratori in nero e gli abusi edilizi di Antonio Di Maio, il papà del vicepremier di Pomigliano d’ Arco, babbo Renzi è riuscito a compiere un capolavoro di logica (non aristotelica) violando, nel giro di pochi minuti, il principio di non contraddizione e quello d’ identità. Ha affermato, e ritrattato, quasi nella stessa frase, di essere stato proprietario della Arturo srl, la società che – come ha svelato il nostro giornale nei giorni scorsi – ha collezionato due condanne davanti al giudice del lavoro di Genova, e poi ha impartito una zoppicante lezione di diritto commerciale.

Ha negato di essere stato l’ amministratore della società (lo è stato invece fino al marzo 2007, proprio nel periodo in cui sono contestati i fatti) e di aver svolto ruoli da liquidatore (lo è stato fino ad agosto 2008, successivamente l’ azienda sarà cancellata dal registro delle imprese e le cause intentate dai lavoratori andranno a schiantarsi contro un muro di gomma).

Il capolavoro è stato, però, quando ha bollato come «fake news» le sentenze della magistratura che riconoscevano risarcimenti per differenze retributive a due lavoratori della Arturo, impegnati nel 2007 a consegnare agli abbonati le copie del Secolo XIX. Uno, Evans Omoigui, attende da anni un bonifico da babbo Renzi di 90.000 euro, la cifra stabilita dal giudice.

Quando ha capito che avrebbe aspettato in eterno, ha minacciato di suicidarsi salendo su una gru nel porto del capoluogo ligure. Oggi (che attende ancora) ha scelto di raccontare la sua storia in un libro (Il mondo deve sentire la mia storia) e in una ballata dedicata al papà di Matteo che fa: «Io ballerò per farmi vedere, allora io ballerò, finché Renzi non mi pagherà i miei soldi. Io ballerò. Io ballerò per farmi vedere da Tiziano Renzi io balleròòò…».

Mentre Evans balla, l’ altro collega, Alari Monday, che abbiamo intervistato nei giorni scorsi, ha ribadito ai microfoni delle Iene di aver lavorato in nero, e di averlo fatto senza peraltro avere nemmeno il permesso di soggiorno (permesso che Renzi senior, secondo una denuncia poi archiviata, gli avrebbe promesso in virtù dei suoi buoni uffici con alcuni funzionari della questura del capoluogo ligure). Anatema!

Tiziano ha minacciato ancora querele e promesso sfracelli in tribunale («Ho quattro avvocati che lavorano per me», ha sibilato all’ inviato della trasmissione) solo a sentir parlare di lavoro nero nella Arturo. Anche dei mancati versamenti contributivi allo chef Andrea Santoni, ex strillone a Firenze per la sua società, è pronto a giurare di aver tutto in regola. Basta recuperare una carta all’ Agenzia delle entrate…

Con il solito cappellino da pescatore calato in testa, ha detto tutto e il contrario di tutto pure a proposito delle ordinanze di abbattimento che il nostro giornale ha scovato per sei strutture (due tensostrutture, due tettoie in lamiera, un capannone in ferro e un locale di piccole dimensioni in cemento armato) a Rignano sull’ Arno.

Ha assicurato che «sono ancora là» anche se il sindaco del piccolo Comune, sentito dal giornalista, lo ha smentito; e ha fatto riferimento a una non meglio precisata sentenza che gli avrebbe dato ragione. Dove sia questa sentenza, non si sa però. E il capannone verde che, magicamente, dopo il nostro articolo è sparito dal cortile della sua società di Rignano sull’ Arno? Autorizzato nel marzo 2017, doveva essere rimosso dopo 90 giorni. È arrivato fino a dicembre 2018, quando è tornato nel cassetto.

Talis pater, (quasi) talis filius. Anche Matteo ha ringhiato e sottolineato a Filippo Roma che lui e il suo babbo non vogliono e non possono essere accostati ad Antonio Di Maio che ha evangelicamente confessato le sue colpe. Perché – hanno sottolineato per la millesima volta -partono le querele. Le stesse che, ancora ieri sera, babbo Tiziano ha ripromesso al direttore della Verità, Maurizio Belpietro, in un post su Facebook che però contiene una prima ammissione rispetto alla sua linea di difesa.

«L’ accusa delle Iene circa un tendone riguarda una struttura regolarmente autorizzata dal comune di Rignano», scrive, «Il fatto che l’ autorizzazione possa essere scaduta non comporta il reato penale, gravissimo, di abusivismo edilizio ma al massimo – forse – una sanzione amministrativa. Il tendone si monta e si smonta agevolmente: non è una palazzina abusiva, è un tendone».

Dunque, il tendone c’ era ed è stato smontato. Quindi, Orso Saggio – come si fa chiamare – pagherà una sanzione amministrativa? Nel post c’ è spazio anche per chiarire anche il «giallo» della messa in onda della puntata.

«Non c’ è nessuna censura verso le Iene. Ho parlato per ore con loro venerdì, offrendo anche la possibilità di continuare la discussione in ufficio. Non si sono presentati ma hanno mandato due volte un drone». Spiega che «il mio avvocato» ha mandato una «diffida» «per evitare che facessero la fine di Marco Travaglio (condannato due volte)»: la sua premura, insomma, era questa: «Abbiamo chiesto di non diffamarci. Se lo faranno sarà stata per loro scelta».

Infine ancora una stoccata al papà di Di Maio e ai 5 stelle: «Filippo Roma, la Iena, ha ricevuto da noi una diffida, da altri le minacce di morte.

Capisco che le Iene abbiano la necessità di riequilibrare dopo il loro scoop su Di Maio, finito sul New York Times, ma ogni accostamento con Di Maio senior per me è diffamatorio». Orso Saggio perde il pelo ma non il vizio.