Non gli sono, evidentemente, bastati i tre mesi di tempo concessi dal regolamento di Palazzo Madama. Matteo Renzi ha bisogno ancora di qualche giorno per pubblicare la dichiarazione dei redditi sul portale Web del Senato.
Fino a ieri la sua casella era vuota, anche se in buona compagnia.
«Matteo è in Cina e tornerà domani pomeriggio (oggi, ndr). Sarà tutto online nei prossimi giorni, di sicuro prima di Natale», assicura il suo portavoce.
Lo stesso, però, ha spento ogni speranza di chiarimento per la domanda che sta sfidando da tempo l’ aritmetica: come ha fatto l’ ex premier a pagare 400.000 euro di caparra per la villa da 1,3 milioni nella prestigiosa via Tacca, a Firenze, avendo sul conto (parole sue) appena 15.000 euro? Ecco, a questo quesito, il portavoce ha replicato così: «Se ne parla tra dodici mesi con la dichiarazione dei redditi 2019, per quest’ anno non saprete di più».
Dunque, sarà necessario attendere un bel po’ per conoscere quali sono state le provviste finanziarie a copertura dei 4 assegni circolari, da 100.000 euro cadauno, che furono versati per il preliminare d’ acquisto nel giugno scorso. E pensare che era stato proprio Renzi, attraverso il suo entourage, a specificare che le trattative per la compravendita dell’ immobile sarebbero state presto chiare e limpide.
«Quando il percorso sarà concluso», recitava una nota dell’ ufficio stampa, «tutte le informazioni saranno rese pubbliche, come peraltro prevede la normativa per la trasparenza dei parlamentari. In caso di acquisto di una casa e di vendita dell’ altra saranno come già fatto in passato resi pubblici anche i mutui, passati, presenti e futuri».
La trattativa è andata in porto nel frattempo, ma per Renzi i tempi non sono maturi per spiegare agli italiani la sua personale applicazione del moltiplicatore del reddito keynesiano. Di sicuro, nella dichiarazione del 2018 ci saranno i soldi del documentario Firenze secondo me, la cui prima puntata è andata in onda, raccogliendo un misero 1,8% di share, sabato scorso; e le indennità da senatore che ammontano a oltre 14.000 euro al mese. E il resto?
I termini per rendere consultabili sul portale di Palazzo Madama i 730 dei rappresentanti del popolo per l’ anno di imposta 2017 sono scaduti già da qualche tempo, hanno confermato al nostro giornale dal Senato. Ma Renzi non rischia sanzioni o penalità per il ritardo. Né per la mancata pubblicazione, se decidesse di non dare seguito alla promessa di svelare il documento contabile. «Sono scelte autonome e insindacabili», spiega una fonte del Parlamento. E questo malgrado le disposizioni regolamentari del Senato siano abbastanza chiare, ma come al solito interpretabili in un modo e nel suo esatto opposto.
«L’ obbligo per i parlamentari di dichiarare la situazione patrimoniale, i redditi e le spese di propaganda elettorale è stato introdotto dalla legge 5 luglio 1982, n. 441», recita la norma di Palazzo Madama, «Tale legge dispone che i parlamentari debbano trasmettere alla Camera di appartenenza una dichiarazione concernente lo stato patrimoniale e le spese sostenute in proprio o dal partito per la campagna elettorale. A tale dichiarazione si allega copia della dichiarazione dei redditi per le persone fisiche.
La medesima legge disciplina le forme di pubblicità delle dichiarazioni depositate dai parlamentari presso ciascuna Camera (l’ articolo 8 stabilisce infatti che tutti i cittadini elettori hanno diritto di conoscere le suddette dichiarazioni e l’ articolo 9 ne prevede la pubblicazione in apposito bollettino, nel quale devono essere riportate anche le notizie risultanti dal quadro riepilogativo della dichiarazione)».
A seguito della deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato del 25 novembre 2010, è stata prevista la «facoltà per il senatore di autorizzare la pubblicazione online della propria situazione patrimoniale e della dichiarazione dei redditi». Facoltà, appunto, che non tutti esercitano. Oltre a Renzi mancano, infatti, i 730 anche di Maria Elena Boschi, Pier Carlo Padoan, Roberto Fico, Marco Minniti e Dario Franceschini, giusto per citare alcuni big dei palazzi romani. Una cosa è certa: il 2017 non dev’ essere stato particolarmente fruttuoso, dal punto di vista dei guadagni, per Matteo.
È l’ anno in cui ha lasciato Palazzo Chigi senza nemmeno il paracadute di uno scranno parlamentare, con due mutui sulle spalle (quello per la casa di Pontassieve, dove aveva la residenza prima di trasferirsi nella super villa; e quello per l’ immobile in cui vivono i genitori, a Rignano sull’ Arno) e le spese correnti di una famiglia con tre figli. Ha intascato qualcosina come segretario del Pd e dandosi alla carriera di conferenziere in giro per il mondo (è in Cina, in questi giorni, proprio per questo motivo) con un cachet di 20.000 euro a evento.
Cifra importante ma ben lontana comunque dai 500.000 euro di Henry Kissinger o dai 450.000 euro del”idolo Barack Obama.
Un annus horribilis in un passato non proprio da buttare, in ogni caso, dal punto di vista finanziario. Nel 2016 Matteo aveva guadagnato 107.100 euro. Nel 2015, l’ imponibile era stato di 103.283 euro.
Nel 2014 la dichiarazione aveva toccato 107.960 euro anche se l’ anno d’ oro fu il 2013, durante la cavalcata per le primarie del Pd, con 145.000 euro, frutto di un vantaggioso accordo con Mondadori per la pubblicazione del libro Avanti, pari a circa 100.000 euro. All’ epoca era ancora sindaco di Firenze.
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