sabato 11 luglio 2020

“Noi non ci muoviamo da qui, vogliamo casa e lavoro”: il ricatto dei rom di Castel Romano



Di Elena Barlozzari Alessandra Benignetti – La tregua armata tra Nicola Zingaretti e Virginia Raggi si è rotta. Il punto di caduta di un’alleanza mai decollata è il “villaggio della solidarietà” di Castel Romano. Una distesa di container, roulotte e immondizia di ogni tipo che si estende nella porzione meridionale della città, a ridosso della via Pontina.

Se fino a qualche giorno fa era il centrodestra a fare da spina nel fianco di un’amministrazione che aveva promesso il superamento dei campi rom, adesso che le elezioni sono nell’aria si fa sentire anche il Partito Democratico. Il “pretesto” sono i continui roghi tossici che si levano dalla baraccopoli, come quello ripreso in diretta dalla trasmissione Le Iene lo scorso 23 giugno.

E così due giorni fa l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, ha firmato un’ordinanza che sollecita il Campidoglio a “procedere alla completa attuazione delle azioni organizzative e funzionali alla chiusura definitiva” dell’insediamento e “alla bonifica dell’intera area”. Una necessità già evidenziata nel corso dei recenti sopralluoghi condotti da Asl Roma 2 e Arpa, che hanno certificato l’assenza di condizioni igienico ambientali adeguate ad ospitare la comunità rom.

La risposta del Campidoglio non si è fatta attendere, ed è arrivata dall’avvocatura capitolina che ha impugnato l’ordinanza al Tar. La Raggi non ci sta a farsi dare lezioni dalla Pisana. Dopo l’escalation di incendi, infatti, il Comune era già corso ai ripari disponendo la chiusura della zona F, la più precaria del campo, entro 10 settembre.

Sul posto è intervenuta la polizia locale di Roma Capitale con gli agenti dei gruppi speciali PICS e GSSU, coordinati dal gruppo SPE e diretti dal comandante Stefano De Napoli, per posizionare un corridoio di new jersey che impedirà ai nomadi di introdurre nell’insediamento rifiuti destinati alla combustione. E non solo. “Gli agenti – ci racconta Marco Milani, coordinatore romano del sindacato dei caschi bianchi Ugl – hanno effettuato numerosi sequestri di veicoli e di targhe risultate prive di assicurazione, radiate o intestate a prestanome”.

Un’operazione che durerà diversi giorni e che ha messo in allarme i residenti del campo. “Ci stanno chiudendo nel recinto, non è giusto che facciano di tutta l’erba un fascio”, si lamenta qualcuno. Ma non tutti la pensano così. È un’anziana originaria della Bosnia a confessarci che “i vigili fanno bene”. “Non ce la facciamo più, i roghi – si sfoga – sono giornalieri e avvelenano anche chi abita qui dentro”. Nessuno però se la sente di puntare il dito contro i responsabili dei continui incendi. “Se lo facessi dovrei andarmene da qui, quella è gente pericolosa e chi si mette contro di loro rischia”, ci dice un rom che abita proprio accanto a una delle tante discariche presenti nell’insediamento.

“Invece di mettere le barriere dovrebbero portarci l’acqua corrente”, protesta invece una ragazzina che abita nel settore che la Raggi vorrebbe sgomberare. È lei, a proposito dei roghi e delle diverse attività illecite condotte dagli inquilini della favela, a sostenere che “la gente di qualcosa dovrà pur vivere”. Nel campo sono pochi quelli che hanno un lavoro. “Noi non ci andiamo a vivere sotto i ponti”, ci racconta un uomo croato sulla trentina. Stessa preoccupazione manifestata dal presidente dell’associazione 21 Luglio, Carlo Stasolla, secondo cui rischia di ripetersi lo stesso flop del Camping River.

Molti degli inquilini, infatti, non hanno la documentazione necessaria per accedere ai benefici previsti dal Piano Rom messo a punto dal Comune di Roma. In tanti non hanno neppure il permesso di soggiorno, senza parlare di passaporto, carta d’identità, tessera sanitaria e via dicendo. Il tempo stringe. È troppo poco secondo Stasolla per garantire alle famiglie “un percorso di fuoriuscita dal campo verso soluzioni alloggiative adeguate”. Sono 28 i nuclei familiari che si preparano a fare fagotto entro i primi di settembre. “Non ci stiamo, senza garanzie non ci muoviamo di qui, lo Stato – sentenziano i diretti interessati – ci deve dare una casa e un lavoro, non possiamo andare a vivere in mezzo alla strada”